Patagonia, tra terra e cielo
Per un fotografo ogni viaggio è un viaggio fotografico, soprattutto se percorre l’itinerario pensato con la sola compagnia della propria attrezzatura. Molto spesso il viaggio geografico è un pretesto per un viaggio interiore. La speranza è sempre quella di poter racchiudere nelle immagini le sensazioni che nascono dentro ognuno di noi ponendosi di fronte a certi scenari, luci, situazioni. Le immagini migliori sono quelle che non ho scattato diceva un grande fotografo, perché in quel momento ho lasciato scorrere le sensazioni; ho lasciato che la luce disegnasse dentro di me il proprio paesaggio, lasciasse impresso nella memoria il suo passaggio…e il solo pensarne la traduzione, in termini tecnici, nella forma bidimensionale, rischia di guastare la magia di quell’istante. Inesorabilmente però ci proviamo, a volte con scarsi risultati, altre volte con successo.
Ho sognato a lungo la Patagonia, la Terra del Fuoco…come un’ultima frontiera. Un luogo da percorrere alla ricerca di me stesso, come se la magia della luce e di quei posti potessero in qualche modo fornirmi degli strumenti ulteriori per capire, per capirmi. Una ricerca di quell’ultima spiaggia, di quell’ultimo orizzonte dal quale affacciarsi e scorgere anche per un solo momento la mia immagine riflessa, quella più pura e vera. Un pontile, l’ultimo; una bitta, l’ennesima; una cima, un salvagente elementi ai quali forse la mia immaginazione si aggrappa, per non smarrirmi nel mondo dei sogni e della fantasia. Un modo per rimanere in questa realtà dove si compie, immancabilmente il mio destino. E allora il gioco del bianco e nero – una sorta di evocazione di quell’infinito, di quello che sta al di là o dentro di me – e del colore, immagine reale, viva di questa mia, semplice curiosità. Immagini per nessuno dunque, o semplicemente per me, ma che, spero, possano in qualche modo sfiorare l’anima di chi le osserva.
Mostra personale. Circolo Ufficiali Accademia Navale di Livorno. maggio 2004
For a photographer every trip is a photographic journey, especially if you thought along the route with the only company of its equipment. Very often the journey is geographically a pretext for an inner journey. The hope is always to be able to enclose the images the feelings that arise within us when facing certain scenarios, lights, situations. The best images are the ones that I did not take a great photographer said, because at that time I left scroll feelings, I left the light designed it in me its landscape left its passage in my memory … and just think of the translation, in technical terms, the two-dimensional form, is likely to spoil the magic of the moment. Inexorably, however hard you try, sometimes with poor results, sometimes with success.I have long dreamed of Patagonia, Tierra del Fuego … as a last frontier. A place to go in search of myself, as if the magic of light and those places could somehow give me more tools to understand, to understand. A search of that last beach that last horizon from which to look out and see for a moment at my reflection, the most pure and true. A pier, the last, a bollard, yet another, a top, a jacket elements to which maybe my imagination clings, not getting lost in the world of dreams and fantasy. One way to stay in this reality where takes place, inevitably my destiny. And then the game of black and white – a kind of evocation of the infinite, of what is beyond or within me – and color, real image of my living, simple curiosity. Images for anyone then, or just for me, but which I hope can somehow touch the soul of the beholder.